Gennaio 1944 sotto la neve

In occasione del 25 aprile, giorno di riflessione e memoria, desideriamo condividere una poesia ricca di emozioni e umanità di Luigi Ferla, intitolata "Gennaio 1944 sotto la neve", che narra un'intensa storia d'amore e sacrificio durante gli anni bui della guerra e dell'oppressione nazifascista.

Questa poesia offre una profonda riflessione su un concetto fondamentale per l'umanità, come la libertà. Ricordare coloro che hanno lottato e dato la vita per questo ideale ci aiuta a comprendere meglio la nostra storia collettiva e a rafforzare il nostro impegno verso una società più giusta e libera.

Gennaio 1944 sotto la neve

Una lettera al mio primo amore è purtroppo una lettera alla memoria e la scrivo come se lei mi ascoltasse, come se gradisse il ricordo di quei giorni tanto lontani, indimenticabili e felici pur nel travaglio inesorabile della guerra senza fine.

Amore mio,
quanto tempo è passato da quel 25 marzo 1945 quando ti ho abbracciata per l'ultima volta, ignaro che il giorno dopo non ti avrei più rivista? Cinquant'anni, un secolo, una vita!

Eravamo allegri quel giorno: sentivamo nell'aria non solo la primavera, ma la sensazione sempre più viva che la fine dell'immane tragedia era ormai vicina. Avevi messo il cappottino azzurro, quello della festa, e un nastro bianco che ti raccoglieva i lunghi capelli. Abbiamo passeggiato a lungo nei giardini della tua cittadina, tenendoci per mano, rinnovando sogni e progetti per un avvenire sereno ormai prossimo.

«A domani» ci siamo poi detto, come ogni giorno, da oltre un anno, ma il domani non c'è stato: qualcuno ti cercava, ti spiava da tempo. Qualcuno sapeva che a sera correvi in montagna da tuo padre, dai tuoi fratelli e portavi loro cibo, notizie, tutta la solidarietà di chi, come loro, aspettava la libertà.

E ti hanno seguita ma te ne sei accorta e li hai portati fuori strada, finché ti sei consegnata, volontariamente, per salvare chi ti aspettava; e non hai parlato, neanche con le torture, l’ultimo atto infame della belva ferita che sta per morire.

Ti hanno abbandonata il mattino dopo davanti a una casa senza vita, sfigurata, ignobilmente offesa nella tua intimità. Abbiamo circondato di fiori il tuo corpo e ti abbiamo portata al cimitero e tutti piangevamo, ti chiamavamo e invocavamo da Dio il castigo per gli assassini.

Ricordi, Ada, il nostro primo incontro quel giorno di gennaio 1944? Nevicava: tu avevi un fazzoletto in testa e trascinavi un pacco voluminoso. Io, sfollato nella tua cittadina da Milano, girovagavo senza meta e mi accorsi di seguirti. Ci siamo guardati e ci siamo sorrisi: ti ho chiesto se ti potevo aiutare e tu, visibilmente felice, hai detto subito di sì.

Sotto la neve, caricati da un peso sempre più greve, ci siamo parlati a lungo: dal fazzoletto ormai fradicio spuntavano i riccioli neri ad incorniciare l'ovale perfetto del tuo viso; i tuoi occhi azzurri mi circondavano di tanta curiosità, quasi volessero scoprire chi fossi, cosa volessi, cosa facessi. Ci dicemmo tutto: avevi sedici anni, io ventitré. Bastarono pochi minuti per capire che avevamo gli stessi dubbi, le stesse paure, le stesse speranze. Entrambi avevamo qualcosa di cui temere, anche se il tuo segreto non mi riusciva di immaginarlo.

Da quel giorno ci siamo visti sempre, ogni pomeriggio: facevamo il solito giro, dalla fermata delle corriere alla chiesa, ai giardini dove in qualsiasi stagione e con qualsiasi tempo, ci sedevamo sulla panchina, mani nella mano e tanto, tanto amore.

A volte mi guardavi come se mi volessi dire qualcosa e non potevi farlo: ero certo che cercavi aiuto ma non potevi chiederlo. Ti stringevo vicino e sommessamente ti dicevo: «Ada, cos'è che ti tieni dentro?». Ma tu non rispondevi o, mentendo, dice vi che ti preoccupava tua madre. E avrei dovuto capirlo dalla tua espressione di terrore quel giorno che, lungo la statale, transitò quella colonna di mezzi corazzati diretta verso i monti e tu fuggisti a casa motivando un impegno inesistente!

Quanto amore, Ada, quante promesse, quanti ricordi e quanti rimpianti! Da cinquant'anni, ogni anno, il 25 marzo abbandono tutto e tutti e corro da te, sulla tua tomba, che io ho voluto bella, unica, e coi fiori freschi ogni giorno. E ho voluto che fosse ingrandita la tua fotografia migliore, a colori, quella dove sorridi col cappottino azzurro e il nastro bianco.

E da cinquant'anni, Ada, mi tormenta il rimorso e la vergogna al pensiero che mentre tu rischiavi la vita per un ideale e per aiutare chi combatteva per la libertà, io, senza arte né parte, bighellonavo vigliaccamente al comodo riparo di una agiatezza immeritata.

Vengo ogni anno, Ada, e continuerò a farlo fino a quando ti raggiungerò per sempre e rivedrò i tuoi riccioli neri, i tuoi occhi azzurri, l’ovale perfetto del tuo viso e ti potrò dire finalmente che quell’anno passato vicino a te è stato il più bello della mia vita.

Luigi Ferla


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