Ciclo della violenza e diffrenza tra conflitto e violenza

Ciclo della violenza e diffrenza tra conflitto e violenza

Dott.ssa Rosa Anna Passaretti - GdL Pari Oppurtunità

I meccanismi della violenza si celano spesso dietro comportamenti e forme di comunicazione subdoli che non sono sempre riconoscibili se non quando si manifestano in maniera troppo violenta e pericolosa. Ma vediamo da vicino quali sono questi meccanismi evidenziando come il ciclo della violenza segua un percorso noto e che accomuna la gran parte delle storie di abuso.

Ma come si riconosce una relazione violenta?

La violenza domestica presenta dei comportamenti che ciclicamente si ripropongono. Le fasi del cosiddetto ciclo della violenza sono le seguenti:

Fase di tensione: la violenza non è agita in modo diretto ma attraverso parole e comportamenti che mirano al controllo della vittima, al suo isolamento, all’umiliazione e ad intimorirla attraverso la continua minaccia di usare la violenza. Il primo stadio di questo ciclo è caratterizzato dal tentativo di svilire, sminuire, mortificare la vittima “stai zitta… che ne sai tu?”, “…non capisci niente! Stupida!” parole che, se inizialmente destano fastidio e irritazione nella donna che subisce tali insulti, finiscono nel tempo per essere legittimate tanto dalla vittima quanto dall’aggressore. Frutto degli stereotipi di genere, queste gravissime affermazioni vengono giustificate e concesse in virtù di un machismo culturale che ci caratterizza da millenni.

Fase dell’esplosione della violenza (maltrattamento): alla prima fase segue quella dell’esplosione della violenza, che può essere sia fisica che psicologica, ma anche economica e sessuale. È una violenza graduale, che inizia con spintoni o schiaffi e che può degenerare anche nella violenza sessuale e nel femminicidio. La seconda fase della teoria della violenza è, dunque, l’effettiva fase di esplosione in cui si verifica l’abuso fisico. Può durare da pochi minuti a diverse ore. La paura sempre più concreta di morire è senza dubbio la risposta emotiva dominante, e le donne vittime di violenza temono di vedere completamente annullata la propria vita e quella dei propri cari (se nel nucleo familiare sono presenti dei figli, queste paure sono chiaramente amplificate). La reazione all’esplosione della violenza con tutta la sua carica di aggressività e pericolosità è assolutamente differente da donna a donna. A questo punto è doveroso sottolineare quanto per una donna sia tutt’altro che facile parlare di quello che accade nella sua vita quotidianamente. La manipolazione subita per anni e anni indebolisce fino ad annullare ogni capacità di discernimento e la sua anima ormai oltraggiata è abitata da emozioni che la schiacciano: la vergogna “se accetti di essere trattata così, sei una debole”, la colpa “se è successo tutto questo, forse tu l’hai provocato”, il giudizio “se accetti di stare con un uomo così, allora te la cerchi”, “perché semplicemente non fai le valigie e te ne vai?”. Ci sono donne in grado di mettere in atto meccanismi difensivi appropriati: chiedere aiuto ai centri antiviolenza, rivolgersi alle forze dell’ordine, denunciare; altre non ce la fanno e scelgono di non difendersi nell’illusione di placare l’ira del loro aggressore o quanto meno di non vedere aumentato il rischio di morte per loro e per i loro cari.

Fase della rappacificazione: La tappa seguente alla fase acuta del maltrattamento fisico, psicologico ed emotivo è quella che viene generalmente definita come “luna di miele”. L’uomo maltrattante a questo punto mostra segni di pentimento, vorrebbe tornare indietro, cancellare l’accaduto fino alla fatidica promessa “Non lo farò più…ti prometto che non succederà più”. In questa fase, ahimè, molte donne tornano sui loro passi: ritirano denunce, qualora ne avessero fatte, iniziano a sminuire la violenza subita con gli altri e con loro stesse, si illudono di poter controllare e quindi gestire questi uomini modificando i loro comportamenti. Sì, perché quello che succede nelle storie di abuso è un vero e proprio spostamento di responsabilità da parte degli uomini: la responsabilità dell’azione violenta viene attribuita a fattori esterni quali ad esempio problemi economici, stress lavorativo, consumo di sostanze…finché è la vittima stessa che si assume la colpa della violenza “l’ho provocato io”, “potevo stare zitta e invece ho risposto”, “è stata colpa mia se si è arrabbiato così… lui mi vuole bene davvero, sono io che ho sbagliato”, finendo così per perdonare il compagno “pentito”.

Con la luna di miele si chiude il ciclo della violenza, ma da questo momento in poi ogni evento può re innescare l’escalation e quindi far partire nuovamente il ciclo. Con il passare degli anni i maltrattamenti e gli episodi di violenza diventano sempre più frequenti e pericolosi e la vittima è sempre più intrappolata nella rete della paura e della solitudine. Paura e solitudine sono vere e proprie armi utilizzate contro le donne dagli uomini maltrattanti per continuare ad esercitare il loro potere, nutrire il loro narcisismo patologico che non ammette relazioni simmetriche e paritarie. Le donne invece devono sapere che non sono sole, i centri antiviolenza possono accoglierle e accompagnarle in percorsi di autodeterminazione per uscire dalla spirale della violenza e riprendere in mano la loro vita.

C’è un’ultima considerazione importante e riguarda la differenza tra conflitto e violenza; parole che troppo spesso vengono usate come sinonimi ma che, nelle relazioni interpersonali (specialmente di coppia), hanno dei significati ben diversi. Ciò che differenzia la relazione conflittuale dalla relazione violenta è l’esercizio del potere: infatti, nella conflittualità c’è parità di potere, mentre nella violenza c’è disparità di potere. In particolare:
Il conflitto è caratterizzato da:
  • Consenso alla lotta da parte di entrambi (= litigio)
  • Situazione paritaria fra i due partners (= simmetria)
  • Non c’è intenzione di sottomissione o umiliazione o annientamento
Al contrario, la violenza è caratterizzata da:
  • Condizione di supremazia di uno sull’altro (= asimmetria e unilateralità)
  • Uso intenzionale della forza fisica o psicologica per dominare l’altra persona
  • Lo scopo delle azioni o delle parole usate è quello di ferire, sottomettere, umiliare l’altra persona
  • La vittima subisce un danno fisico, sessuale o psicologico, talvolta anche permanente
Una relazione conflittuale può trasformarsi in una relazione violenta nel momento in cui uno dei due partner non reagisce più al conflitto, perché subentra la paura delle reazioni dell’altro e degli effetti che queste possono provocare
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Van der Kolk B., “Il corpo accusa il colpo”, Raffaello Corina Editore, Milano, 2014

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